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DOME LA MUERTE & THE DIGGERS

"Ci sono ben pochi appigli per definire la musica di Dome La Muerte e dei suoi Diggers, basta citare le tappe della carriera del chitarrista pisano per capire tutto: dall’hardcore dei leggendari Cheetah Chrome Motherfuckers al garage psych degli altrettanto leggendari Not Moving. In tutti questi anni, Dome La Muerte non ha mai ceduto a compromessi e la sua musica è sempre stata di alta qualità. Supersadobabi non delude: si tratta di rock animalesco con influenze psych. Undici brani adrenalinici e abrasivi, alcuni dei quali non avrebbero stonato nelle mani dei Flamin’ Groovies e di Johnny Thunders e che scorrono via in scioltezza come nei migliori album dei sixties. Garage rock di alta classe."  Simone Bardazzi

In queste poche righe è riassunta la carriera musicale di Domenico Petrosino, in arte Dome La Muerte leggenda vivente del garage punk’n’roll italiano (e non solo) degli ultimi trent’anni, rimane senz’ombra di dubbio alcuno, una delle icone più genuine, vitali e durature del rock italiano, alla cui storia il nostro ha concretamente contribuito a suon di riff e sporchi ritornelli in anni e anni di gloriosa militanza tra le file di formazioni ormai mitologiche come CCM, Not Moving e Hush. Non soddisfatto di cotanto invidiabile curriculum (che da solo varrebbe la museificazione istantanea nel Louvre del punk e un soggiorno eterno nell’inferno paradisiaco del garage-rock), Dome continua a portare avanti il proprio discorso pubblicando nuovi elettrici album, come, per certi aspetti, lo speculare collega di sponda britannica Wild Billy Childish.

Rinnovando il fruttuoso sodalizio con i Diggers, con lo spirito più incazzoso e sanguinante del sixties-punk americano stretto tra i denti, la band regala una nuova fiammante collezione di missili punk-blues acuminati e velenosi, puntati direttamente sul cuore pulsante di un pogo selvaggio a bordo palco. E' tutto un esplosivo propagarsi di linee cinetiche impazzite e ritmi martellanti, nella migliore tradizione di Flashtones, Rocket From The Crypt, Gravedigger Five e simili. Una grande lezione di sintesi e immediatezza espressiva, per uno degli insostituibili patriarchi dell’italico verbo rock. Quando le tavole venivano incise da un fulmine, lui era sulla montagna a tenerle strette tra le dita, potete starne certi. (tratto da ondarock).

Pagina Facebook ufficiale: Dome La Muerte And The Diggers

Supersadobabi

Il 19 Aprile 2014, durante la celebrazione del Record Store Day in Via San Martino 18 a Pisa, live set acustico COMPLETAMENTE GRATUITO, per la presentazione del nuovo lavoro!

Il reverendo è tornato, ancora una volta accompagnato dai rinnovati The Diggers (Marco Serani, Iride volpi, Giampiero Jp Palazzino), pronto a riprendersi le sonorità rock che gli appartengono, spinto dall’ardore classic rock, venato di surf, blues and western rock. Promosso dalla Go Down Records, il quartetto torna così con Supersadobabi, nuovo album ricco di sfumature passatiste e fortemente street, in grado di raccogliere ideali crossover, spinti oltre le attese. Il disco ha inizio sulle note rock di Nice family, in cui (immediatamente) viene a palesarsi un intenso e trasparente suono stonesiano, che, come l'opera tutta, ci catapulta dentro agli anni ’70, attraverso brani intensi e genuini.La lirica iniziale, oltre a dare sensazioni mai perdute, con i suoi stop and go e le sue enclave soniche, sembra dover qualcosa anche al mondo dei Kiss, attraverso l'uso di back voice portanti e lineari, al servizio di un cantato dalle strutture ampie e determinate. Una linea tracciata che prosegue con la convincente If you fight , veloce e sporco rock dai riflessi gli anni ’50, che ben si assesta al fianco dei ritorni seventies di Woman in Trouble, garage rock dalle linee Cooperiane. Se poi con Sell out il blues si abbraccia a partiture ragionate, portando alla mente il sabba nero, è con Broken chains che la band raccoglie riff tanto semplici, quanto diretti, ben sostenuti da una regolarizzazione inattesa del drum set, pronto ad invitarci nel distorto vortice di chiusura di uno tra i brani più interessanti del full lenght. La voce di Dome Marte, talvolta deliziosamente scomposta, si accartoccia poi sulle note scomposte di Little Doll (cover degli Stooges) e Your favourite obsession, splendido episodio intarsiato di rock Jaggariano. Non mancano infine spezie alt west (The shame of things to came e We’ll ride until the end ), che, tra riverberi ed effetti, giungono a rivisitare sensazioni polverose, sino a riversarsi su di un’impostazione surf curiosa è divertita. Proprio queste percezioni d'oltreoceano ritornano nella distorsione accorta e giocosa diBad trip blues again, piccola danzante perla, che apre la via alla chiusura di un album costruito su di un solito piedistallo rock.

Recensore:Loris Gualdi 
Recensito il: 19/03/2014
Copyright: Loris Gualdi per Music on Tnt

Poems For Renegades

Una slide acida e visionaria, un arpeggio sulla chitarra acustica, un lieve agitarsi di maracas e un flauto in sottofondo. Si apre così “Poems For Renegades”, il debutto da solista di Dome La Muerte. Usare la parola “debutto” per recensire un album di Dome, un’icona rock’n’roll che ha marchiato a fuoco la nostra scena underground negli ultimi trent’anni – due nomi su tutti: i CCM prima e i leggendari Not Moving poi – suona un po’ strano. Ma tant’è: dopo anni spesi a scrivere canzoni, incidere dischi, calcare i palchi e colpire con riff taglienti con questa o con quella band, con questo o con quel progetto, il Keith Richards italiano ha finalmente deciso di firmare un album a suo nome. E per farlo ha pensato bene di spogliarsi – come si vede dalle foto all’interno del booklet dove appare circondato da belle ragazze, anch’esse ignude – non solo letteralmente. Scegliendo una dimensione intima e ricca di fascino. Poetica. Magica. Accompagnato da una schiera di amici fidati, tra cui Maurizio Curadi degli Steeplejack, Emiliano, Basetta e Marco dei “suoi” Diggers, Dome affronta il tema dei “rinnegati”, di tutti coloro che hanno scelto con fierezza la propria strada sapendo di “perdere” e di dover pagare dei prezzi altissimi. Un po’ come lui. Tra le quattordici tracce che compongono il canovaccio del disco troviamo sei affascinanti episodi strumentali, due brani scritti dal poeta Cheyenne Lance Henson (che aveva già firmato anni addietro uno splendido lavoro con i Not Moving, “Song Of Myself”) e alcuni pezzi tratti dall’ormai ricchissimo songbook di Dome. Brani che in chiave acustica, spogliati della loro corazza elettrica, acquisiscono una nuova intrigante veste. Come “Blue Stranger Dancer” e “Shine On Me” provenienti dal primo disco dei Diggers o quella “They Will Fall” – impreziosita dal sitar, dall’armonica e dalla dodici corde di Curadi – che rimane uno dei pezzi più emozionanti dei Not Moving. O “I Just Want To Have Something To Do” dei Ramones che mai avremmo immaginato di ascoltare in una versione rallentata e acida come questa. Mentre l’altra cover è “Billy”, un brano “minore” di Dylan. Dimenticatevi i riff selvaggi, gli amplificatori saturi di distorsione, il rock’n’roll impastato di garage, psychobilly e punk che ha sempre caratterizzato la straordinaria vicenda umana e artistica di Dome La Muerte. In “Poems For Renedages” troverete ballate acustiche, brani dal sapore country & western, viaggi lungo le strade blu d’America. Per scoprire che i “renegades” di cui parla il titolo sono capaci di emozionare anche quando, per una volta, suonano “unplugged”.

Autore: Roberto Calabrò per Freakout Magazine


              


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